giovedì 17 gennaio 2008

Ticinum Papia

Mostra sulla moneta




La mostra presentata nella biblioteca dell' Università di Pavia tra il 4 e il 25 maggio del 2007, presenta per la prima volta dopo duecento anni la ricca collezione universitaria. La moneta da sempre svolge un ruolo fondamentale nell' economia e nella politica di una nazione, il ruolo in cui si produce la moneta, la zecca, per l'importanza dell' attività che si svolge deve avere una stretta connessione con la sede del potere. Attraverso la collezione di monete è possibile quindi capire quale ruolo ha avuto Ticinum-Papia (Pavia) nella storia.


TICINUM
romana 275 d.C.- 326 d.C.
La zecca di Ticinum è attiva per circa quaranta'anni tra il III e il IV secolo d.C. emettendo monete d' oro, argento e bronzo. In questo periodo è una delle dieci zecche dell' impero che producono moneta per il pagamento dei soldati impegnati nella difesa dei confini. La sua posizione sul fiume a poca distanza dalla confluenza con il Po, ne fa un centro strategico. La testimonianza della grande attività della zecca di Ticinum è attestata sia dai numerosi ritrovamenti di monete sul territorio, sia dalla grande diffusione di monete nell' impero merchiate Ticinum.



TICINUM-PAPIA ostrogota e longobarda 550 d.C.- 774 d.C.

Nel periodo ostrogoto Teodorico fa costruire a Pavia un Palazzo reale, le monete di quel periodo sono battute però a Roma, Milano e Ravenna. Con l' avvento dei longobardi però Pavia diventa capitale e riprende la sua attività di zecca dell' impero. I longobardi sono un popolo guerriero e considerano la moneta come espressione di ricchezza. Con l'Editto di Rotari si separa l'attività degli orefici dai monetieri mettendo questi ultimi sotto il diretto controllo regale. Alla fine del VII secolo d.C. il popolo longobardo trova una nuova espressione di unità e identità politica e culturale con l'emissione di una moneta d'oro con l'immagine del patrono San Michele.




PAPIA 774 d.C.- 1465 d.C.

Questo lungo periodo di coniazioni prima imperiali, e comunali poi, va compreso nel contesto della frammentazione del potere da centralizzato ad autonomie cittadine. In questo periodo Pavia diventa zecca imperiale insieme ad altre poche città in Italia, questa condizione la pone in una posizione di conflitto ma al tempo stesso di dipendenza nei confronti della vicina Milano. Anche le monete di tipo più prorpiamente cittadino che raffigurano il vescovo San Siro non sono altro che un' imitazione delle monete milanesi raffiguranti Sant' Ambrogio.

giovedì 10 gennaio 2008

Museo della tecnica elettrica




Si può dire che l'idea che portò alla realizzazione di un museo della Tecnica Elettrica a Pavia risale al 1998, nell’imminenza delle celebrazioni per il bicentenario dell’invenzione della pila elettrica ad opera di Alessandro Volta, presso l’Università di Pavia venne costituito il Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Storia della Tecnica Elettrica con lo scopo di sviluppare studi e ricerche sull’evoluzione della Tecnica Elettrica e allo stesso tempo quello di continuare la raccolta di materiale documentario in vista della realizzazione di un Museo della Tecnica Elettrica, raccolta portata avanti da oltre dieci anni presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università.




Il progetto del Museo è quindi un iniziativa dell'Università di Pavia con lo scopo di rendere omaggio ad uno dei grandi luminari di questa città. All'interno del Museo si possono trovare varie collezioni. La collezione di partenza è quella raccolta nel corso di oltre un decennio presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica. Gli oltre 3000 reperti, prevalentemente nel settore dell’energia elettrica, provengono da industrie elettromeccaniche italiane, aziende elettriche, collezionisti privati. Dal marzo del 1999 l’Università dispone anche dell’intera raccolta ENEL già nel Museo dell’Energia Elettrica di Roma, ceduta in comodato all’Università. Essa si compone di circa 400 reperti, grandi e piccoli. Via via, intanto, qualche collezionista privato, venuto a conoscenza del progetto del nuovo Museo, ha affidato all’Università il compito di conservare quanto ha raccolto con interesse e cura spesso nell’arco di una vita.




Nel gennaio 2001 è stata acquistata sempre, da parte dell’Università, un’altra grande collezione che SIRTI, primaria azienda nel settore delle telecomunicazioni, ha ceduto in comodato all’Università. Si tratta di una collezione imponente, di oltre tremila reperti, prevalentemente nel settore della telegrafia e della telefonia.


Il nuovo Museo sarà localizzato nel polo scientifico dell’Università, nella periferia nord ovest della città. La soluzione architettonica adottata per la struttura, che avrà una superficie coperta di 5.000 mq, è piuttosto suggestiva oltre che funzionale. La struttura apparirà infatti sepolta in una dolce collina che si integrerà perfettamente con l’ambiente circostante naturale ed abitato.
All’interno troveranno collocazione un ampio magazzino, le gallerie per le esposizioni permanenti e temporanee, un archivio e una biblioteca oltre ai servizi vari.



I reperti grandi ed ingombranti troveranno posto nello spazio verde esterno e saranno motivo di forte richiamo. La narrazione museale è in fase di definizione: essa seguirà il criterio cronologico nell’ambito di vaste tematiche corrispondenti al settore della tecnica elettrica: la produzione, il trasporto, la distribuzione e l’utilizzazione dell’energia elettrica, le comunicazioni elettriche, le altre applicazioni. Il percorso cronologico dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi sarà marcato da alcune tappe nelle quali verrà offerta una visione sintetica dell’evoluzione della tecnologia elettrica fino ad allora, attraverso reperti originali, modelli, illustrazioni, simulazioni, filmati ed altre applicazioni multimediali.

Museo della tecnica elettrica

Video sul museo della tecnica elettrica


Vi proponiamo un breve video sul funzionamento di una macchina che produce una carica elettrica ed un .
Ricordiamo che il museo è composto da tre collezioni, frutto di tre donazioni dal "Museo Enel", dal "Museo Sirti" e del "Museo storico-didattico" rispettivamente per le raccolte "Ipotesi per un Museo dell’Energia Elettrica", "Museo delle Telecomunicazioni" e "Raccolta del Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Pavia".



Ed infine una slideshow che raccoglie i momenti migliori della visita guidata al museo della tecnica elettrica...

Alessandro Volta



Certamente un post del nostro blog non potevamo che dedicarlo ad Alessandro Volta, inventore della pila!
Nacque nel 1745. Studiò prima in famiglia e poi alla scuola dei Gesuiti e in seminario.
La sua attività scientifica cominciò e si svolse a lungo fuori dalle sedi istituzionali universitarie.
Nel 1774 fu nominato reggente delle scuole pubbliche di Como e nel 1775 professore di Fisica sperimentale nel Ginnasio di Como.

Nel 1778 gli fu offerta la cattedra di Fisica Sperimentale presso l'Università di Pavia, dove operò per circa quarant'anni e fu eletto Rettore nel 1785. Le sue lezioni aperte al pubblico, tenute nell'attuale "Aula Volta", furono molto popolari; egli, inoltre, incrementò notevolmente la collezione di strumenti del gabinetto di Fisica, anche acquistandone direttamente durante i suoi viaggi in Europa.Volta si dedicò con particolare successo all'elettrostatica: fondamentali le sue ricerche sugli elettroscopi, che modificò in elettrometri; l'invenzione dell'elettroscopio condensatore e dell'"elettroforo perpetuo", la prima macchina elettrostatica ad induzione.
La maggior fama di Volta è legata all'invenzione della pila, seguita alla disputa con Galvani sull'elettricità animale, che lo impegnò a partire dal 1791. Mentre Galvani sosteneva che le contrazioni delle zampe di rana da lui osservate erano causate da un "fluido nervoelettrico" proprio degli animali, Volta, partendo dagli stessi esperimenti e ideandone poi una grande varietà, arrivò all'affermazione che non di elettricità "animale" si trattava, bensì semplicemente di elettricità "metallica", messa in moto da certe catene di metalli e di conduttori umidi.
Nel 1800 rese pubblica la realizzazione della pila a colonna e a corona di tazze.
Nel 1801 a Parigi presentò le sue ricerche all'Accademia, alla presenza di Napoleone.

Luminari nella storia di Pavia

Con questa slideshow vorremmo citare tutti i luminari, gli studiosi, sli inventori che sono entrati nella storia di Pavia portando a scoperte innovative che hanno consentito all'uomo di progredire lungo il suo cammino...

Museo di storia naturale - collezione

Collezione di vertebrati







Le collezioni di vertebrati naturalizzati, completamente restaurati, sono state recentemente allestite in un deposito reso idoneo alla loro conservazione e fruibile in occasioni particolari anche dal pubblico. Si tratta di circa 10.000 esemplari disposti secondo il numero progressivo d’inventario per facilitarne la consultazione. Per molti di essi, attraverso le documentazioni archivistiche, è possibile la ricostruzione del percorso storico.






Nell’esemplificazione del materiale, tra i preparati di epoca spallanzaniana che ancora si conservano, sono rilevanti un tursiope (Tursiops truncatus) acquisito da Spallanzani nel 1781 durante il viaggio a Marsiglia; un coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus), donato dal conte Giacomo Sannazari nel 1782; un ippopotamo (Hippopotamus amphibius) giunto da Mantova nel 1783 e oggetto di una lunga contesa conclusasi con l’invio a Mantova di una serie di duplicati di minerali in cambio; la collezione del medico olandese van Hoey, ricca di pesci e rettili.







la collezione è comprensiva anche di uno squalo (Isurus oxyrhynchus) proveniente dallo stretto di Messina, acquistato dall’abate Gaetano Grano nel 1790.


I rettili dalla mole possente comprendono anche un pitone, una anaconda e un alligatore.




Nella rassegna di pesci marini e d’acqua dolce, meritano particolare considerazione la collezione di pesci dipnoi acquisita da Pavesi e un raro esemplare di celacantide Latimeria chalumnae, donata al museo in anni più recenti.





La consistente collezione ornitologica comprende anche gli uccelli del Paradiso donati dal Marchese Giacomo Doria e ua splendida coppia di Condor delle Ande (Vultur gryphus) catturati in Cile dall’esploratore Gaetano Osculati nel 1835 .




Tra i carnivori è notevole una coppia di giovani leoni di Barberia (Panthera leo leo) acquistati a Parigi nel 1812 e preparati in sede dal celebre naturalista e embriologo Mauro Rusconi. Completo è l’ordine dei proboscidei con un giovane elefante indiano (Elephas maximus), acquisito da mangili nel 1812, e un elefante africano (Loxodonta africana) pervenuto in collezione durante la direzione di pavesi.























Collezione di invertebrati






Gli esemplari di invertebrati ammontano a circa 100.000 unità, distribuiti nelle classi di pertinenza.Tra le collezioni più antiche ci sono i coralli su ossidiana raccolti da Spallanzani al Castello di Lipari, durante il famoso viaggio al regno delle due Sicilie nel 1788. Di notevole pregio è la collezione di vermi viscerali del Pastore Giovanni Augusto Goeze acquistata da Giuseppe II nel 1787.

Si tratta di una ingente raccolta di parassiti intestinali di assoluto valore scientifico, comprendendo molti ‘tipi’, ossia esemplari sui quali è stata descritta la specie.A spiegare il moderno concetto di biodiversità rientra la collezione di circa 20.000 conchiglie terrestri e d’acqua dolce raccolte da Arturo Issel e acquistate da pavesi nel 1894. Di Pavesi, noto studioso di aracnologia, il museo conserva, tra l’altro, la collezione di ragni.Di grande pregio è la raccolta di spugne radunata, studiata e donata al Museo da Balsamo Crivelli.Tra gli esemplari di crostacei si impone, con i suoi oltre due metri, un granchio gigante del Giappone.
abbiamo inoltre...


Sezione di anatomia comparata

il museo presenta anche una sezione di anatomia comparata, eterogenea per tipologia di materiali, raggruppa sia preparati di organi conservati in modi differenti, sia apparati scheletrici.

Accanto ad esemplari di piccole e medie dimensioni ci sono gli scheletri completi di un elefante, una giraffa, e una balenottera comune (Balenoptera physalus). Quest’ultima, spiaggiatasi a Levanto, nei pressi di La Spezia, nel 1902, fu acquistata nello stesso anno da Leopoldo Maggi, direttore del Museo di anatomia comparata. Tra i reperti osteologici dei cetacei è eccezionale la presenza di una mandibola, una scapola e una vertebra di Balena della Groenlandia (Balena mysticetus), che furono donate dal governo asburgico a Spallanzani nel 1793.


Sezione di paleontologia

L’antico Museo di Mineralogia nel corso del ‘900 è andato incontro ad una serie di suddivisioni.

Le collezioni geo-mineralogiche sono confluite nel museo annesso al Dipartimento di Scienze della Terra: quelle di attinenza paleontologica, destinate all’erigendo Museo di Storia Naturale, sono tuttora giacenti presso il Castello Visconteo. Un piccolo nucleo di reperti di pietre laviche riportate da Spallanzani dal viaggio alle isole vulcaniche e alcuni fossili acquistati nel 1774 da Antonio Fabrini, direttore della zecca di Firenze, è stato invece trasferito al Museo per la Storia dell’Università al momento della costituzione di quest’ultimo (1932). La sezione paleontologica del museo naturalistico possiede ricche collezioni di vertebrati fossili. Fra queste, una delle più importanti, sia dal punto di vista storico sia da quello scientifico è senz’altro quella dei pesci del Monte Bolca.

Museo di storia naturale

Cenni storici
L’origine del Museo di Storia Naturale si colloca nel vasto contesto di provvedimenti previsti dalla Riforma teresiana per un rinnovamento generale dell’Ateneo. Costituito a scopo didattico dietro sollecitazione di Lazzaro Spallanzani, titolare della cattedra omonima neo-istituita, il Museo ebbe inizio nel 1771 con un primo nucleo di minerali inviati in dono dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Le collezioni, formatesi attraverso raccolte personali, acquisti, scambi e donazioni, nel 1775 furono allestite nella prestigiosa sede del palazzo Centrale dell’Università , dove rimasero, incrementandosi, per oltre un secolo. Nel 1778, alle sezioni già esistenti di zoologia e di mineralogia, fu aggiunta quella di anatomia comparata avviata con i reperti provenienti dal Gabinetto di Anatomia fondato dall’anatomo chirurgo Antonio Scarpa.


Diversi collaboratori, nominati per scopi e in momenti sempre ben circostanziati, affiancarono Spallanzani nella cura e nell’ordinamento delle collezioni e nella stesura dei cataloghi. Tra i primi coadiutori vi furono Serafino Volta e Giovanni Antonio Scopoli , ai quali fu affidata la cura della sezione zoologica, e Padre Ermenegildo Pini, dedito alla mineralogia. Rilevante fu poi la figura del custode e preparatore Vincenzo Rosa, autore anche di due importanti trattati sulla tassidermia (“Metodo di preparare e conservare gli uccelli per i Gabinetti di Storia Naturale” del 1789 e “Metodo di preparare e conservare gli animali per un Gabinetto di Storia Naturale” del 1817). La responsabilità della sezione mineralogica fu affidata dal 1790 a Giovanni Martinenghi.La fama del Museo, ricco già nel 1780 di oltre 24.000 esemplari, interessò autorità e personalità scientifiche e ispirò al poeta e matematico Lorenzo Mascheroni alcuni versi del componimento didascalico “Invito a Lesbia Cidonia” (1793).


Dopo la morte di Spallanzani, avvenuta a Pavia nel 1799, lo sviluppo del’istituzione e l’incremento delle collezioni proseguirono con i successori Giuseppe Mangili, Gian Maria Zendrini e Giuseppe Balsamo Crivelli.Con l’approvazione del Regolamento speciale d’Ateneo, che decretava l’inserimento dell’anatomia comparata nella Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali e separava la zoologia dalla mineralogia, gli insegnamenti furono eretti prima a Cattedre e poi a Istituti. Di conseguenza, dal 1875 anche il Museo di Storia Naturale fu suddiviso nelle sue sezioni, che divennero altrettanti musei autonomi abbinati agli istituti omonimi. La zoologia fu affidata a Pietro Pavesi, l’anatomia comparata a Leopoldo Maggi e la mineralogia dal 1887 a Torquato Taramelli. Seguendo il trasferimento degli istituti, il Museo di Anatomia Comparata nel 1903 e quello di Zoologia nel 1935 trovarono adeguata collocazione a Palazzo Botta; il Museo di Mineralogia, che comprendeva fossili, minerali e campioni geologici, fu sistemato in altri locali del Palazzo Centrale.





Verso la metà del XX secolo, quando l’interesse per i musei naturalistici fu superato dal progresso tecnologico e dal repentino sviluppo di innovative branche di ricerca, anche presso gli Istituti dell’Ateneo pavese prevalse la necessità di reperire spazi da adibire a laboratori. Intorno al 1960, con l’eccezione dei preparati strettamente legati alla didattica universitaria, le collezioni di zoologia, anatomia comparata e paleontologia furono trasferite negli ampi locali del Castello Visconteo nell’intento di allestire in quella sede civica un museo aperto al pubblico, purtroppo rimasto irrealizzato. Gli anni a seguire furono, per i preziosi reperti, di inesorabile degrado, fino alla istituzione del Centro Interdipartimentale di Servizi Musei Universitari che, dal 1995, sta operando il recupero di tutto il materiale mediante restauro conservativo dei reperti. In sintonia con la recente generale rivalutazione del Museo come insostituibile strumento didattico, il Centro valorizza parte delle collezioni in esposizioni tematiche temporanee rivolte agli studenti, alle scolaresche e al vasto pubblico [Immagini dell'ornitologia nell'800 a Pavia (aprile 1996), Pesci di ieri e di oggi (aprile 1997), Artigli e zanne: grandi e piccoli predatori (aprile 1998), Dalle proscimmie all'uomo(sett.98), Il museo di Lazzaro Spallanzani (1771-1799)(1999 , Balene e delfini i giganti del mare.In linea con l’esigenza di conservare le testimonianze che raccontano la storia locale delle scienze naturali per divulgarla e trasmetterla alle generazioni future, è in fase di progettazione la sede definitiva del Museo di Storia Naturale, inserita nel Parco dei Musei al polo scientifico dell’Università. La struttura in programma sarà idonea a riunire tutte le collezioni storiche e a proseguire la raccolta e la conservazione di preparati recenti, sarà destinata alla fruizione pubblica e allo sviluppo dei vari settori in cui può articolarsi la ricerca scientifica di interesse naturalistico.

Lazzaro Spallanzani


Nato a Scandiano nel 1729, veste, a otto anni, l’abito clericale. Sollecitato dal padre ad intraprendere lo studio della giurisprudenza, nonostante l’innata inclinazione allo studio della natura, nel 1749-1750 si iscrive alla facoltà di legge presso l’Università di Bologna. Coltiva anche le belle lettere e approfondisce la conoscenza del greco e del francese. Riesce infine a superare la resistenza paterna e abbandona gli studi legali per dedicarsi a quelli naturalistici. Dal 1757 al 1762-1763 ottiene l’incarico per le lezioni di fisica e matematica all’Università Reggiana, istituita da Francesco III d’Este 5 anni prima.

Nel 1762, per confutare la teoria della generazione spontanea, inizia le ricerche sugli “animaletti infusori” e proprio questi studi sperimentali daranno l’avvio alla sua carriera scientifica, che sarà caratterizzata da innumerevoli viaggi, spostamenti, studi “sul campo”, proprio come suggerito nella sua “Picciola memoria relativa al modo con cui il Professore di Storia Naturale della Regia Università di Pavia suole combinare la parte sistematica della Scienza che insegna con lo spirito di osservazione”.

Le numerose escursioni ora sull’Appennino, ora a Como e sulle montagne circostanti, poi a Genova, sulla Riviera di Levante, a Marsiglia, sulla costa Adriatica, e ancora a Portovenere, alle Alpi Apuane e in Garfagnana, alla Salsa e ai pozzi di petrolio di Montegibbio nel modenese, nelle Due Sicilie, sul Vesuvio, sull’Etna, e alle isole Eolie, danno a Spallanzani l’occasione di interessarsi volta per volta alla fauna del mare, di dedicarsi alle osservazioni geologiche e mineralogiche, agli studi sul fenomeno elettrico della torpedine, alle osservazioni geofisiche e chimiche, agli studi sui fenomeni vulcanici.
Anche quando il risultato delle escursioni non è la pubblicazione di qualche scritto scientifico, il viaggio risulta comunque proficuo per la raccolta di materiale per il Museo di Pavia. Durante il viaggio di studio in Svizzera, compiuto nel 1779, visita le Università e le molte collezioni di storia naturale di numerosi studiosi, mentre in quello, effettuato via mare, nell’agosto del 1785 alla volta di Costantinopoli, compie studi sulla flora e sulla fauna delle località visitate, fa osservazioni meteorologiche, si interessa ai costumi e alla vita di quelle popolazioni. Durante il ritorno via terra raccoglie casse di minerali in alcune miniere della Transilvania, nelle saline di Saltzbourg, nei giacimenti auriferi e argentiferi di Zalatina, nei monti metalliferi della regione carpatica, mentre una sosta ad Orbetello gli permette di fare notevoli osservazioni sulle anguille della laguna.

Spallanzani, che morirà nel 1799, fu un grande biologo e fisiologo, si interessò di geologia, mineralogia, chimica e fisica ed ebbe una grande preparazione letteraria. Le sue numerose scoperte lo fecero precursore di più di una moderna disciplina scientifica. Egli viene ricordato soprattutto per le sue ricerche dimostranti l’impossibilità della generazione spontanea, la digestione, la riproduzione e la fecondazione. Per queste ultime mostrò la necessità del contatto intimo del liquido seminale con l’uovo e giunse alla realizzazione della fecondazione artificiale. Non meno grandi furono le scoperte sulla respirazione dei tessuti, sull’azione del succo gastrico per la digestione degli alimenti e sui meccanismi della circolazione del sangue, e sulla presenza dei globuli bianchi nel sangue.

Giovanni Antonio Scopoli



Giovanni Antonio Scopoli (Cavalese, 3 giugno 1723 – Pavia, 8 maggio 1788) è stato un medico e naturalista italiano.
Scopoli nacque a Cavalese, nella Val di Fiemme; suo padre era un avvocato. Ottenuta la laurea in medicina all'Università di Innsbruck, esercitò la professione di medico, prima a Cavalese e poi a Venezia. In quel periodò cominciò a collezionare piante ed insetti rinvenuti nelle Alpi. Per due anni fece da segretario privato al Conte di Seckan ed, in seguito, divenne medico delle miniere in Idria, un piccolo villaggio della Slovenia, rimanendo lì per sedici anni. Nel 1761 pubblicò De Hydroargyro Idriensi Tentamina, che trattava dei sintomi dovuti all'avvelenamento da mercurio causato dal lavoro in miniera.
Scopoli trascorse molto tempo a studiare la natura locale, pubblicando nel 1760 la Flora Carniolica e un'importante opera di entomologia.
Illustrazione tratta da Deliciae Flora et Fauna Insubricae. Descrisse, minuziosamente, i caratteri macroscopici e caratterizzanti di 187 specie fungine, dividendole in 11 Generi secondo la sistematica del Linneo. Le specie a che portano il suo nome sono una trentina, ricordiamo: Amanita caesarea, Clitocybe inversa, Macrolepiota procera, Sarcoscypha coccinea.Un'altra sua opera fu Anni Historico-Naturales (1769-72), che comprende le descrizioni di nuove specie di uccelli provenienti da varie collezioni.Nel 1769, Scopoli si stabilì a Banská Štiavnica come professore incaricato al Mining Academy, e, nel 1777, si trasferì all'Università di Pavia. Il suo ultimo lavoro fu Deliciae Flora et Fauna Insubricae (1786-88), che include i nomi scientifici di uccelli e mammiferi descritti da Pierre Sonnerat nei suoi appunti di viaggio.L'alcaloide Scopolamina venne così chiamato in suo onore.

Visita all'orto e alle sue piante







Arboreto

Ospita diverse specie arboree ed arbustive originariamente in prevalenza esotiche, attualmente arricchito con diverse specie delle foreste dell'Italia boreale. Dell'impianto originario, attribuito allo stesso Scopoli, rimane un monumentale Platanus hybrida (45 m di altezza, 7.30 m di circonferenza a 1 m dalla base).




Azalee

Pur non avendo un particolare valore scientifico, meritano di essere ricordati i due folti gruppi di azalee (Rhododendron indicum) coltivatein diverse varietà ed impiantate con evidenti scopi estetici a cura di R. Ciferri. La loro fioritura, assieme a quella del Roseto, è considerata dalla cittadinanza un elemento acquisito del verde urbano.







Roseto

Istituito da R. Ciferri, che diresse l'Istituto di Botanica e l'Orto dal 1943 al 1964 è attualmente suddiviso in tre grandi aree: un folto gruppo di rose selvatiche, raccolte nelle aiuole marginali, con specie e ibridi naturali rappresentativi delle sezioni dei sottogeneri Hultemia, Eurosa ed Hesperhodos, denominate secondo le classificazioni adottate per le flore delle regioni d'origine; le rose antiche, collocate in modo da evidenziare, ove possibile, i legami con le sezioni precedenti; gli ibridi moderni, ospitati nelle aiuole centrali.





Serra caldo umida

Fu costruita durante la direzione di Ruggero Tomaselli e attualmente contiene diverse specie esotiche di Palme, Pteridofite, Aracee, Euforbiacee, Liliacee, Marantacee, ecc.


Serra delle piante utilitarie

Questa serra, che ospita una serie di piante esotiche da frutto, aromatiche, da legno e ornamentali, è utilizzata anche come serra di ricovero invernale di piante in vaso. Vi è mantenuto anche un gruppo di individui di Cyperus papyrus in pieno rigoglio, introdotto dalle stazioni siciliane.


Serre scopoliane

Sono formate da due corpi collegati da un atrio comune. Nel corpo orientale è mantenuta una serie di specie di Cicadine tra le più rappresentative dal punto di vista didattico. Nel corpo occidentale si trova una collezione di piante succulente di vecchia costituzione e integrata più volte con donazioni da parte di privati. Vi sono specie di Cactacee, Liliacee, Composite, Asclepiadace, Euforbiacee, Vitacee.





Settore delle angiosperme
Si estende su tutta la parte compresa tra il corpo dell'Istituto e le serre di Scopoli. Durante la direzione di R. Ciferri questa parte di Orto era occupata dall'ampia collezione di Rose coltivate. Attualmente sul medesimo disegno delle aiuole si trovano diversi alberi e cespugli di cui si possono ricordare Davidia involucrata, Pterocarya fraxinifolia, Firmiana simplex, alcune specie di Acer, di Tilia, Quercus, Betula, Cornus, Juglans. La densità degli alberi e la presenza di alcune Gimnosperme (Podocarpus andina, Picea), pone localmente seri problemi per un loro accrescimento regolare, per cui è in programma una revisione di questo settore. In aiuole che fiancheggiano i viali sono invece coltivate Angiosperme erbacee della flora italiana ed esotica; in un angolo di questo settore alcune piante di Tè in piena terra e non riparate d'inverno, producono regolarmente fiori e semi vitali. L'introduzione di Thea sinensis a Pavia risale al 1890.





Piante nemorali
E' ospitata nell'aiuole triangolari che fiancheggiano il viale di accesso alle Serre scopoliane. E' costituita da alcune specie erbacee caratteeristiche del sottobosco delle foreste planiziali e che sono in vario grado minacciate.

Dopo questa lunga visita è arrivata l'ora di un momento di relax. Infatti, all'interno dell'Orto Botanico è anche possibile rilassarsi ammirando le meraviglie della natura!


L' Orto Botanico e la sua storia



L'insegnamento della botanica a Pavia iniziò nel 1546 nell'ambito degli studi medici come "lettura dei semplici", cioè come descrizione delle piante usate come componenti di ricette farmaceutiche. E' probabile che fin dal 1520 esistesse già a Pavia, presso l'abitazione di Leonardo Leggi, un orto con collezioni di piante officinali.
L’Orto Botanico pavese si trova nell’attuale sede dagli ultimi decenni del 1700, dopo una complessa sequenza di tentativi per trovare una sede idonea alla coltivazione e all’insegnamento dei semplici nella facoltà medica. Grazie a Witman nel 1773 fu istituito nella sede attuale l'Orto
botanico.



Nel 1777, quando assunse la direzione Giovanni Antonio Scopoli (1777 - 1788), l'Orto Botanico aveva un assetto molto simile a quello attuale, soprattutto per gli edifici e la perimetrazione.
Egli arricchì le collezioni con scambi di semi e di piante, e promosse il rifacimento delle già citate serre, dette di Scopoli, facendone sostituire le strutture lignee con quelle in muratura. Aumentò inoltre le strutture per la coltura di piante mediante "pulvilli", riparabili con vetri, esistenti ancora oggi.

Dal 1997 l'Orto Botanico fa parte del Dipartimento di Ecologia del Territorio e degli Ambienti Terrestri, nel quale è confluito l'Istituto di Botanica. Dalla stessa data inizia la direzione di Alberto Balduzzi (1997-2002) durante la quale si sono gettate le basi di una collezione di piante officinali. Inoltre sono stati eseguiti importanti interventi di restauro manutentivo. L'attuale direttore è Francesco Sartori.